giovedì 28 gennaio 2010

Le tre ipotesi sulla morte dell'anarchico Pino Pinelli

Era da molto che desideravo trattare questo argomento, scrivendo un post come questo, che fungerà da apripista all'argomento più generico dell'influenza dei servizi segreti, italiani e stranieri, nella vita politica e nella cronaca (spesso nera) del nostro paese, a partire dagli anni '60 fino ad oggi.
Il brano sotto è un estratto dal libro: LA STRAGE DI STATO - Controinchiesta, preceduto da una nota degli autori.
A seguire troverete un filmato d'epoca, con un Gian Maria Volontè in grande spolvero che, coadiuvato da alcuni altri esponenti del mondo dello spettacolo (tra i quali il grande Renzo Montagnani), cercano di ricostruire la vicenda, partendo dai 3 differenti verbali della polizia relativi ai fatti di quel lontano, ma purtroppo sempre più attuale, 15 Dicembre 1969.

Questa controinchiesta - condotta da un gruppo di militanti della sinistra extra-parlamentare e iniziata nel periodo in cui, con il pretesto degli attentati dei 12 dicembre, si scatenava la caccia all'"estremista di sinistra" - non nasce da esigenze di legittima difesa: per denunciare "le disfunzioni dello stato democratico" o "la violazione dei diritti costituzionali dei cittadini". Sappiamo che questi diritti, quando esistono, sono riservati esclusivamente a chi accetta le regole del gioco imposto dai padroni: l'unanimismo dei servi o l'opposizione istituzionale dei falsi rivoluzionari. Per noi, "giustizia di classe" e "violenza di stato" non sono definizioni astratte o slogan propagandistici, ma giudizi acquisiti con l'esperienza: gli operai, i contadini, gli studenti, li verificano ogni giorno nelle fabbriche, nelle campagne, nelle scuole, nelle piazze e non soltanto nelle "situazioni di emergenza". La repressione preferiamo chiamarla rappresaglia. Essa rappresenta un parametro di incidenza rivoluzionaria: sappiamo che il sistema colpisce con tanta più virulenza quanto più i modi e gli obiettivi della lotta sono giusti, e che l'unica, vera, amnistia che conti, sarà promulgata il giorno in cui lo stato borghese verrà abbattuto.
Per questo non ci stupisce ne' ci indigna il ricorso dei padroni alla strage e la trasformazione di 16 cadaveri in formula di governo; ne' che l'apparato ne copra le responsabilità con l'assassinio e con l'incarcerazione di innocenti. Lasciamo ai "democratici" il compito di scandalizzarsi, di chiedere accertamenti e indagini parlamentari, di gridare: "Questo non deve accadere! Qui non siamo in Cambogia" come se esistessero tanti imperialismi anziché uno solo, come se i sistemi che
esso usa abitualmente in Asia, Africa, America Latina o in Medio Oriente, fossero privilegio esclusivo dei popoli di colore o sottosviluppati: inammissibili per un "paese di alta civiltà", come il nostro. Fin dall'inizio eravamo coscienti che non avremmo potuto fornire agli altri militanti molto di più di quanto essi già sapevano sulle responsabilità dirette e indirette che stanno dietro la strage di Milano.
Prima ancora che i giornali progressisti definissero "oscuro suicidio" la morte di Giuseppe Pinelli, sui volantini alle fabbriche e all'Università, sui giornali rivoluzionari e sui muri delle città italiane, i colpevoli venivano indicati con nome e cognome. Quando i deputati della sinistra ufficiale denunciavano "l'oscura manovra reazionaria" rivolgendo appelli di unità antifascista a quegli stessi settori politici che di questa manovra, nient'affatto oscura, erano i gestori e i portavoce ufficiali, migliaia di militanti si scontravano in piazza con la polizia gridando esplicitamente i risuitati della loro analisi di classe. Il significato di questa contro-inchiesta, quindi, è quello di offrire ai compagni un modesto strumento di lavoro per l'approfondimento e la diffusione a livello popolare dell'analisi sullo stato borghese; perché, come ha detto Lenin prima di Gramsci, la verità è rivoluzionaria. Siamo convinti, nello stesso tempo, che essa fornisca la dimostrazione di quanto e meglio avrebbero potuto fare - se solo lo avessero voluto - le forze della sinistra istituzionale, politiche e sindacali. Le quali però non hanno voluto perché il farlo significava dimostrare che dietro le bombe di Milano e di Roma, dietro la morte di Giuseppe P¡nelli, esistono complicità che non lasciano spazi riformistici.
L'abbiamo dedicata a due compagni: Giuseppe Pinelli e Ottorino Pesce. il primo, un operaio, è rimasto ucciso per predisposizione storica, come i suoi compagni che quasi ogni giorno muoiono nei cantieri e nelle fabbriche dei padroni; il secondo giacché aveva scelto di mettersi dalla parte d
egli sfruttati anziché degli sfruttatori, pretendendo di rifiutare il ruolo sociale che gli era stato assegnato. Lo ha fatto dichiarando - proprio quando la sinistra ufficiale assisteva pressoché impassibile alla caccia all'"anarchico" e al "maoista" che la giustizia italiana è una giustizia di classe: la stampa "indipendente" lo ha linciato, i magistrati "progressisti" lo hanno invitato alla prudenza e al tatticismo. morto d'infarto il 6 gennaio 1970.

Un gruppo di militanti della sinistra extra-parlamentare
13 dicembre 1969-13 maggio 1970


Come' e' morto Giuseppe Pinelli

E' circa la mezzanotte di lunedi' 15 dicembre 1969. Un uomo discende lentamente lo scalone principale della questura di milano. Giunto nell' atrio dell' ingresso principale di via Fatebenefratelli si ferma un momento, accende una sigaretta. E' indeciso se uscire, andarsene a casa, oppure rimenere ancora qualche minuto, fare un'attimo il giro negli uffici della squadra mobile che stanno li' di fronte a lui, dall'altra parte del cortile. Sono giornate faticose queste per i cronisti milanesi e lui in particolare si sente stanco, avvilito: si sa gia' che nella mattina e' stato arrestato un'anarchico di nome Valpreda; c'entrera' davvero con le bombe di Piazza Fontana? E poi nelle camere di sicurezza della questura, nelle stanze al quarto piano dell' ufficio politico ci sono ancora almeno un centinaio tra anarchici e giovani della sinistra extraparlamentare che da tre giorni, dal venerdi' delle bombe, sono sottoposti a continui interrogatori.

L'uomo, Aldo Palumbo, cronista dell'Unita' di Milano, muove i primi passi per attraversare il cortile. E sente un tonfo, poi altri due, ed e' un corpo che cade dall'alto, che batte sul primo cornicione del muro, rimbalza su quello sottostante e infine si schianta al suolo, per meta' sul selciato del cortile, per meta' sulla terra soffice dell' aiuola. Palumbo rimane paralizzato per qualche secondo al centro del cortile, poi si avvicina al corpo, ne distingue i contorni del viso. E subito corre a dare l'allarme, agli agenti della squadra mobile, agli altri cronisti che sono rimasti in sala stampa quando lui e' uscito.

La mattina dopo tutti i quotidiani escono a grossi titoli con la notizia del suicidio di Giuseppe Pinelli. Di questi giornali, quelli che al momento dell'incidente avevano il loro cronista in questura scrivono che il suicidio e' avvenuto a mezzanotte e tre minuti. Nei giorni seguenti, stranamente questo particolare del tempo viene modificato: prima lo si corregge a "circa mezzanotte", poi lo si sposta ancora indietro, sino ad arrivare ad un tempo ufficiale: "Pinelli e' morto alle ore undici e 57 minuti del lunedi' notte 15 dicembre".

Ai primi di Febbraio, dal'inchiesta condotta dalla magistratura trapela un particolare: la chiamata fatta quella notte dala questura di Milano al centralino telefonico dei vigili urbani per richiedere l'intervento di una autoambulanza, e' stata registrata da uno speciale apparecchio e quindi si puo' stabilire con certezza l'attimo esatto, che risulta essere mezzanotte e 58 secondi. Come a dire due minuti e due secondi prima della caduta di Pinelli, se si sta al tempo segnalato da tutti i giornalisti che erano in questura quella notte. Si e' trattato di una svista collettiva, e abbastanza clamorosa per gente abituata ad avere delle reazioni automatiche, professionali, quali il guardare per prima cosa l'orologio quando avviene un incidente del genere? E' n fatto pero' che nel frattempo sono successe due cose strane.

Qualche giorno dopo la morte di Giuseppe Pinelli, due agenti della squadra politica della questura si sono presentati al centralino telefonico dei vigili urbani per controllare il momento esatto di registrazione della chiamata. Cosa significa questo zelo del tutto gratuito dato che e' la magistratuta, e non la polizia, che si occupa del'inchiesta sulla morte di Pinelli? Perche' preoccuparsi tanto dell'orario di chiamata dell'ambulanza se le cose si sono svolte cosi' come sono state raccontate? La risposta potrebbe essere questa: la chiamata e stata fatta prima che Giuseppe Pinelli cadesse dalla finestra.

Verso i primi di gennaio il giornalista Aldo Palumbo, la prima persona che si e' avvicinata a Giuseppe Pinelli morente nel cortile della questura, trova la sua abitazione sottosopra. Qualcuno e' entrato, ha rovistato dappertutto, ha aperto cassetti, rovesciato mobili, frugato armadi. Ladri? Sarebbero ladri ben strani considerato che non hanno rubato ne le tredicimilalire che erano in una borsa, er che pure devono aver visto poiche' la borsa e' stata aperta, e neppure quei pochi gioielli nascosti in un'altra borsa, pure essa trovata aperta. Due quindi le ipotesi: o gli ignoti cercavano qualcosa, qualcosa collegato agli ultimi istanti in qui il giornalista fu ficino, e da solo, a Giuseppe Pinelli morente; oppure si e' trattato di un'avvertimento, un monito a tenere la bocca chiusa rivolto a chi, come Aldo Palumbo, poteva essere sospettato di sapere qualcosa, forse di aver sentito mormorare da Pinelli un nome, una frase.

Basterebbero questi primi, pochi elementi per formulare pesanti sospetti sulla versione dell' anarchico morto suicida. In realta' ce ne sono molti altri, e sono questi.

Pinelli cade letteralmente scivolando lungo il muro, tanto che rimbalza su ambedue gli stretti cornicioni sottostanti la finestra dell'ufficio politico; non si e' dato quindi nessuno slancio.

Cade senza un grido e i medici stabiliranno che le sue mani non presentano segni di escoriazione, non ha avuto cioe' nessuna reazione a livello istintivo, incontrollabile, nemeno quella di portare le mani a proteggersi durante la "scivolata".

La polizia fornisce nell'arco di un mese tre versioni contrastanti sulla meccanica del suicidio. La prima : quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo ma sensa riuscirci. La seconda: quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo e ci siamo parsialmente riusciti, nel senso che ne abbiamo fermato lo slancio: come dire, ecco perche' e' scivolato lungo il muro. Ma questa versione e' stata resa a posteriori, dopo cioe' che i giornali avevano fatto rilevare la stranezza della caduta. Infine l'ultima, la piu' credibile, fornita in "esclusiva" il 17 gennaio 1970 al Corriere della sera: quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo ed uno dei sottouffuciali presenti, il brigadiere Vito Panessa, con un balzo "cerco' di afferrarlo e salvarlo; in mano gli rimase una scarpa del suicida" I giornalisti che sono accorsi nel cortile, subito dopo l'allarme lanciato da Aldo Palumbo, ricordavano benissimo che l'anarchico aveva ambedue le scarpe ai piedi.

Poi la polizia fornisce due versioni contrastanti anche sul movente anche sul movente del suicidio. Primo: Pinelli era coinvolto negli attentati, il suo alibi per il pomeriggio del 12 dicembre era crollato, e sentendosi ormai perduto ha scelto la soluzione estrema, gridando "E' la fine dell'anarchia". Seconda versione, fornita anche questa a posteriori, dopo che l'alibi era risultato assolutamente valido: Pinelli, innocente, bravo ragazzo, nessuno riesce a capacitarsi del suo gesto.

Dando questa seconda versione, la polizia afferma anche che la tragedia e' esposa nel corso di un'interrogatorio che si svolgeva in una atmosfera del tutto legittima, civile e tranquilla, con scambio di sigarette ed altre delicatezze del genere. L'anarchico Paquale Valitutti, uno dei tanti fermati che tra il venerdi' delle bombe ed il lunedi' successivo hanno riempito le camere di sicurezza della questura, ha fornito invece questa testimonianza: "Domenica pomeriggio ho parlato con Pino (Pinelli) e con Eliane, e Pino mi ha detto che gli facevano difficolta' per il suo alibi, del quale si mostrava sicurissimo. Mi anche detto di sentirsi perseguitato da Calabresi e di avere paura di perdere il posto alle ferrovie. Verso sera un funzionario si e' arrabbiato perche' parlavo con gli altri e mi ha fatto mettere nella segreteria che e' adiacente all'ufficio di Pagnozzi (un'altro commissario, come Calabresi, dell'ufficio politico: n.d.r.); ho avuto occasione di cogliere alcuni brani degli ordini che Pagnozzi lasciava ai suoi inferiori per la notte. Dai brani colti posso affermare che ha detto di riservare a Pinelli un trattamento speciale, di non farlo dormire e di tenerlo sotto pressione per tutta la notte. Di notte il Pinelli e' stato portato in un'altra stanza e la mattina mi ha detto di essere molto stanco, che non lo avevano fatto dormire e che continuavano a ripetergli che il suo alibi era falso, mi e' parso molto amareggiato. siamo rimasti tutto il giorno nella stessa stanza, quella dei caffe', ed abiamo potuto scambiare solo alcune frasi, comunque molto significative. Io gli ho detto "Pino, perche' ce l'hanno con noi?" e lui molto amareggiato mi ha detto: "si, ce l'hanno con me". Sempre nella stessa serata del lunedi' gli ho chiesto se avesse firmato dei verbali e lui mi ha risposto di no. verso le otto e' stato portato via e quando ho chiesto ad una guardia dove fosse , mi ha risposto che era andato a casa. Io pensavo che stesse per toccare a me di subire l'interrogatorio, certamente piu' pesante di quelli avvenuti fino ad allora: avevo questa precisa impressione.. dopo un po', verso le 11, 30 ho sentito dei rumori sospetti, come di una rissa ed ho pensato che Pinelli fosse ancora li e che lo stessero picchiando. Dopo un po' di tempo c'e' stato il cambio della guardia, cioe' la sostituzione del piantone di turno fino a mezzanotte. Poco dopo ho sentito come delle sedie smosse ed ho visto gente che correva nel corridoio verso l'uscita, gridando "si e' gettato". Alle mie domande hanno risposto che si era gettato il Pinelli: mi hanno ance detto che hanno cercato di trrattenerlo ma che non vi sono riusciti. Calabresi mi ha dettto che stavano parlando scherzosamente del Pietro Valpreda, facendomi chiaramente capire che era nella stanza nel momento in cui Pinelli casco'. Inoltre mi ha detto che Pinelli era un delinquente, aveva le mani in pasta dappertutto e sapeva molte cose degli attentati del 25 aprile. Queste cose mi sono state dette da Panessa e Calabresi mentre altri poliziotti mi tenevano fermo su una sedia pochi minuti dopo il fatto di Pinelli. Specifico inoltre che dalla posizione in cui mi trovavo potevo vedere con chiarezza il pezzo di corridoio che Calabresi avrebbe dovuto necessariamente percorrere per recarsi nello studio del dottor Allegra e che nei minuti precedenti il fatto (cioe' la stessa caduta di Pinelli n.d.r) Calabresi non e' assolutamente passato per quel pezzo di corridoio".

Dunque l'ultimo interrogatorio di Giuseppe Pinelli non e' stato cosi' tranquillo come si e' cercato di far credere, ed e' falso anche che al mom,ento della caduta il commissario aggiunto Luigi Calabresi non fosse presente nella stanza. Ma perche' queste menzogne? La risposta puo' essere trovata in un articolo pubblicato dal settimanale Vie Nuove nelle settimane seguenti.

"Quando l'anarchico fu trasportato nella sala di rianimazione del'ospedale Fatebenefratelli non era in condizioni di coscienza, aveva un polso abbastanza buono ma il respiro molto insufficiente, il che poteva essere provocato da ragioni organiche (cioe' il gran colpo del'impatto con il terreno o qualcosato) oppure psicologiche (cioe' lo stato di tensione precedente alla caduta, ma questa sembra un'eventualita' meno valida.) Il particolare che stupi' i medici fu che il corpo, almeno da un esame superficiale, non presentava nessuna lesione esterna ne perdeva sangue dalle orechie e dal naso, come avrebe dovuto essere se Pinelli avesse battuto violentemente la testa. Una constatazione, questa, che fa sorgere subito un'altra domanda in chi non ha mai voluto credere nella versione del suicidio: se e' vero, come sembra, che la necroscopia ha accertato una lesione bulbare all'altezza del collo, qale si sarebbe pututa produrre battendo al suolo il capo, come mai orecchie e naso non sanguinavano ne volto e testa non presentavano lesioni evidenti? Per logica si arriva quindi ad una seconda domanda: non e' possibile che quella lesione al collo fosse stata provocate prima della caduta? Come e da cosa non ci vuole molta fantasia per immaginarlo: sono ormai molti anni che nelle nostre scuole di polizia quella antica arte giapponese di colpirecol taglio della mano, nota come Karate'. Fossero stati interrogati, quei due medici (che hanno prestato cure a Pinelli morente n.d.r.) avrebbero pututo raccontare un'altro episodio. Quella notte del 16 dicebre, nell' atrio del Fatebenefratelli regnava una grande confusione. Si era trasferito tutto lo stato maggiore della polizia milanese, il questore Marcello Guida compreso. Ma la polizia era presente anche all'interno della sala di rianimazione dove i due medici tentavano invano di tenere in vita Giuseppe Pinelli, tranquillo, silenziose, non molto turbato dalla vista dell'operazione di intubazione orotracheale e di ventilazione con il pallone di Ambu' alla quale l'anarchico veniva sottoposto, un poliziotto inborghese, camicia e cravatta, baffetti neri e un distintivo all'occhiello della giacca, non si allontano' neanche per un attimo dal lettino dove Pinelli stava morendo, attento a raccogliere ogni suo rantolo(...) Chi gli ha dato l'ordine di entrare nella stanza compiendo un abuso di autorita' che non e' tollerato negli ospedali? E perche' e' entrato, cosa pensava o temeva che Pinelli potesse dire prima di morire?"

I risultati del'autopsia, dalla quale sono stati esclusi i periti di parte, non vengono resi noti. I due medici - Gilberto Bontani e Nazareno Fiorenzano- che hanno tentato di salvare Pinelli, solo il secondo, e solo molte settimane piu' tardi, e dietro istanza della moglie dell'anarchico, viene interrrogato dal procuratore Giuseppe Caizzi, il magistrato cui e' affidata che nel mese di maggio 1970 si concludera' con un sibillino verdetto di "morte accidentale" (non suicidio quindi, se la lingua italiana ha un senso. Ma allora la polizia ha mentito...).

Subito dopo che il dottor Nazareno Fiorenzano e' stato interrogato, nel palazzo di giustizia circola una voce secondo cui la polizia lo ha pesantemente "avvertito" che il caso Pinelli e' un caso da archiviare, e percio' e' meglio che non si ponga troppi interrogativi. Ma cosa puo' aver notato o capito il medico di guardia davanti al corpo di Pinelli morente?

La testimonianza che egli rilascia a un collega prima di essere interrogato dal magistrato e questa:

"1) Gli infermieri che raccolsero Pinelli ebbero l'impresione che fosse gia' morto.

2) il massagio cardiaco esterno fu praticato da un infermiere di nome Luciano.

3) solo eccezionalmente - e per lo piu' in vecchi dallo scheletro rigido - il massagio cardiaco puo' produrre incrinature alle costole.

4) da quando fu raccolto, e fino alla morte Pinelli non emise ne un lamento ne una parola.

5) quando Pinelli arrivo' al prontosoccorso del Fatebenefratelli, non aveva piu' polso, pressione e respirazione. Appariva decelebrato; ma il dottor Fiorenzano non ebbe l'impressione che la teca cranica fosse fratturata. Non perdeva sangue dagli occhi, dal naso, dalla bocca. Presentava anche abrasioni alle gambe. Lesione bulbare? Mani intatte.

7) Pinelli fu intubato, sottoposto a ventilazione artificiale ed altre pratiche di rianimazione. Riebbe polso polso e pressione. Respiro che confermerebbe lesione bulbare. Mancanza di riflessi ecc. confermano che (parole testuali) "si trattava di un morto cui avevano dato un po' di vita vegetativa" Rianimazione sospesa dopo 90'

8) Il dottor Guida arrivo tre minuti dolo Pinelli. Disse al dottor Fiorenzano che non poteva fare nulla contro l'irreparabile, ebbe l'aria di scusarsi e se ne ando'.

9) Il dottor Fiorenzano ignorava l'identita' del ferito, che non gli fu detta dai poliziotti. La sua insistenza per conoscerla irrito' molto i poliziotti.

10) I poliziotti ripetevano, tutti con le stesse parole, che si era buttato dalla finestra. Sembra ripetessero una formula."


Anche a Milano serve un 22 marzo

La versione del suicidio risulta tanto piu' incredibile se si considerano le ragioni che avrebbero dovuto spingere Giuseppe Pinelli a uccidersi. Non esistono ragioni soggettive (capo manovratore alle ferrovie, Pinelli era un uomo sano, a posto fisicamente e psicologicamente, con una vita familiare solida, ecc.),ne tantomeno ragioni obbiettive. Il suo alibi e' autentico e lui lo sa. Le minacce e i ricatti ai quali viene sottoposto per i primi due dei tre giorni che passa in questura, dal venerdi' delle bombe al lunedi' successivo, per Pinelli non sono una novita': e' da settembre, dai giorni dello sciopero della fame organizzato in solidarieta' degli anarchici imprigionati per gli attentati del 25 aprile a Milano che gli uomini della squadra politica lo perseguitano, cercano di intimidirlo con lo spettro del licenziamento dalle ferrovie, delle conseguenze che la militanza politica avrebbe provocato alla famiglia. E anche il tentativo finale, mezz'ora prima del "suicidio", di farlo sentire indirettamente coinvolto nella strage col dimostrargli che, come risulta dal suo libretto chilometrico di ferroviere, lui ha compiuto un viaggio a Roma nella notte tra l' 8 e il 9 agosto e che pertanto puo' essere ritenuto uno degli autori degli attentati ai treni, anche questo tentativo non da nessun risultato: Pinelli sa benissimo, come sa la polizia, come sanno tutti, che quelle bombe sono di marca fascista. Eppure il tentativo viene fatto egualmente, come ultimo ricatto per fargli confessare qualcosa., qualche nome, qualche circostanza che alla polizia, al commissario Luigi Calabresi preme molto; cioe' quanto sevirebbe a fare scattare il medesimo meccanismo che a Roma in qwuelle ore si e' gia' chiuso sul gruppo anarchico del 22 Marzo.

L'equivalente milanese del 22 Marzo (inteso come retroterra ambientale, politico e organizzativo nel quale sarebbe maturata la decisione di compiere gli attentati) nelle intenzioni degli inquirenti e' rappresentato da un obbiettivo molto piu' importante; qui non si tratta di quattro ragazzini anarchici, se il colpo riuscisse si arriverebbe a mettere le mani addosso a un personaggi e un'ambiente di primo piano. Il personaggio e' Giangiacomo Feltrinelli editore di sinistra: discutibile sotto molti aspetti agli occhi della intellighentzia marxista,tuttavia per gli avversari, per il sistema, rappresenta uno dei simboli piu' noti della contestazione e della rivolta, con le sue pericolose collane di libri e di opuscoli a buon mercato in cui predica la guerrigliaa e il "creare due, tre molti Vietnam", e si profetizza addirittura, nei giorni caldi del luglio 1969, "la minaccia incombente del colpo di stato all'italiana", ovverosia "le ragioni e modi in cui si tentera' di imporre un regime autoritario in Italia". Per gli avversari, per il sistema, poter dimostrare che Giancarlo Feltrinelli e' un estremista asssassino di fatto, oltre che sui libri, significa non solo spazzare via un pericoloso e incomodo editore di sinistra, ma anche vibrare un duro colpo ai seguaci, non di Feltrinelli, ma dei suoi libri.

Poi Feltrinelli e' un grosso pesce da far cadere nella rete per altri motivi. E' lui, infatti, che ha fornito un alibi ai suoi amici anarchici Giovanni e Eilan Corradini, incarcerati per gli attentati del 25 aprile. Quindi Feltrinelli porta ai Corradini, cosi' come i Corradini portano agli anarchici. E la soluzione dell'equazione a questo punto e' elementare: il "giro" Corradini-Feltrinelli-anarchici e' responsabile delle bombe di aprile come lo e' di quelle bombe di dicembre; o viceversa, come si preferisce.

Gia' il 18 dicembre, durante una conferenza stampa del questore di Milano, il nome di Feltrinelli viene indicato tra i "possibili responsabili". Il 19 viene perquisito il suo studio per ordine del giudice Antonio Amati (lo stesso che in aprile ha mandato in galera gli anarchici), e il motivo ufficiale e' la ricerca di un volantino simile a quello rinvenuto nei pressi della bomba esplosa il I° aprile e che dovrebe trovarsi adesso negli archivi della casa editrice di via Andegari.

Il "Corriere della Sera" riporta in prima pagina la notizia della perquisizione, scrive che il nome di Feltrinelli, sussurrato nei giorni precedenti, entra ora nell'orbita dell'inchiesta, e che la polizia, gia' poche ore dopo la strage di Piazza Fontana, aveva richiesto alla procura l'autorizzazione -negata- a perquisire il suo studio.

Da quel momento i giornali borghesi, con in testa "La Notte" di Pesenti, e quelli della catena del petroliere Monti, scatenano unas campagna di stampa che senza mezzi termini crea la figura dell'editore dinamitardo. Si parla esplicitamente di Feltrinelli come del finanziatore dei gruppi anarchici. Ma Feltrinelli non c'e': e' all'estero gia' da molti giorni, da prima che il Ministero degli Interni ordinasse il ritiro del suo passaporto.

Altri giornalisti, piu' o meno in buona fede, raccolgono e fanno circolare una nuova versione, pericolosa quanto sottile, che viene suggerita direttamente dalla polizia: non si puo dire che Feltrinelli sia il mandante: in realta' e' successo che lui, impulsivo e sprovveduto, aveva organizzato un traffico di esplosivo destinato alla Resistenza greca, esplosivo che che qualcuno e' riusciito invece, con un tranello, a far dirottare verso Piazza Fontana. Tuttavia questa ennesima provocazione, almeno questa, non riesce.


Perche' e' morto Giuseppe Pinelli

Per l'obiettivo di fornire anche a Milano una "organizzazione" equivalente a quella romana del circolo 22 Marzo, Giuseppe Pinelli e' destinato a svolgere un ruolo molto importante durante l'ultimo interrogatorio che si svolge nell'ufficio al quarto piano del commissario aggiunto Luigi Calabresi. Il "giro" Feltrinelli-Corradini-anarchici e' stato prescelto e "il Pino" deve servire a incastrarlo. Se dira' quello che si aspettano da lui, il successo del'operazione e' assicurato. Pinelli sara' un teste credibilissimo per la sua insospettabilita', per il rifiuto della violenza che ha sempre manifestato, perche' e' il personaggio che ci vuole autorevole tra gli anarchici. E percio' il personaggio che ci vuole per realizzare la fase conclusiva della manovra, i cui momenti precedenti sono stati:

1) nel gruppo prescelto si sono tenuti certi discorsi, si e' parlato di armi, di guerriglia, di come opporsi a tentativi di colpo di stato, ecc. (tutti argomenti che ormai vengono trattati anche nei salotti della borghesia progrressista ma non importa: quel che conta, ai fini della complessa manovra e' che tali argomenti siano stati trattati anche in quel gruppo prescelto, perche' cio' e' pregiudiziale

2) nel gruppo si sono infitrati provocatori-informatori che hanno soffiato sul fuoco, hanno estremizzato al massimo il discorso, hanno proposto la necessita' di passare dalla teoria alla pratica, ecc.

2) Nel frattempo sono stati commessi degli attentati la cui firma e' resa simile a quella che avrebbe lasciato tale gruppo se mai li avesse commessi, e per questo l'opinione pubblica e' gia' predisposta ad accetterlo come quello dinamitardo per eccellenza.

A questo punto manca solo l'avallo di Giuseppe Pinelli, "Il Pino" e' ritenuto un emotivo che si puo' facilmente terrorizzare, e un ingenuo che si puo' facilmente ingannare.

L'interrogatorio si svolge secondo questo schema:

1) intimidazione: "il tuo alibi per il pomeriggio del 12 e' caduto";

2) in tentativo di fiaccare la sua resistyenza fisica e psichica (non lo laciano nemmeno dormire, lo tengono costantemente "sotto pressione";

3) il tentativo di impaurirlo facendogli balenare la possibilita' di essere coinvolto tra gli autori della strage.

Ma gli alibi reggono, la resistyenza psico- fisica del Pino anche. Allora la musica deve cambiare, si passa al'interrogatorio pesante, quello coi "rumori di sedie smosse, come una rissa" e gli vengono contestati fatti, nomi, circostanze precise. Ma un' interrogatorio di questo tipo e' una specie di boomerang, per chiedere bisogna per forza dire e il Pino, che ascolta attentamente prima di rispondere, improvvisamente intuisce qualcosa, intuisce che si sta cercando di farlo cadere in una trappola, intuisce anche, grazie proprio a quei nomi e a quelle circostanze che gli stanno contestando, la funzione di provocatore svolta da qualcuno che si e' infiltrato nel gruppo, coglie il legame che interccorre tra il provocatore e qualcuno degli uomini che lo stanno interrogando.

E invece di tacere, invece di guadagnare tempo, emotivamente parla, indignato minaccia, e chiede che certi nomi, certe sue affermazioni vengano messe a verbale.

Fra chi lo interroga, non tutti hanno capito quello che Pinelli ha capito. Ma un paio di persone certamente si. E allora parte, tra i tanti, quel colpo decisivo che fa stramazzare Pinelli sulla sedia, gli fa perdere coscenza. Pinelli sta male (Si chiama in quel momento L'autoambulanza?) Pinelli ha bisogno d'aria. bisogna avvicinarlo alla finestra, appoggiare il suo corpo inanimato alla sbarra di ferro traversale, bassa. Troppo bassa, non trattiene il Pino, il Pino scivola gia' nel vuoto.

Una disgrazia. Un malore prima e la disgrazia poi. Questa al'incirca la versione che uno dei cinque presenti nella piazza (il commissario Luigi Calabresi, i brigadieri Panessa, mucilli, Mainardi, il tenente dei caarabinieri Sabino Lograno) fornira' a un suo superiore. Questa versione, attraverso un lungo giro, giunge a chi sta conducendo questa controinchiesta. E sarebbe credibile, forse, se non vi fosse quella lesione bulbare nel collo di Pinelli. se non vi fosse la sua totale mancanza di riflessi durate la "scivolata" lungo il muro, indizio evidente che non si tratta di un uomo colto da malore ma di un uomo inanimato. Tuttavia credibile, forse, per chi era in quella stanza e non ha saputo distiguere il colpo fatale vibrato sul corpo del Pino, e non ha capito perche' quel colpo e' stato vibrato e perche il Pino doveva cadere dalla finestra.

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